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Perizie Foniche e Grafologiche

Cos'è la grafologia

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  •  Cos'è la grafologia
     
    La Grafologia, dal greco grafè (scrittura) e lògos (studio), è una scienza umana che studia l'uomo attraverso la sua scrittura, decodificando i tratti della sua personalità, della sua affettività e mettendone in luce le caratteristiche comportamentali e relazionali. Mutuando una definizione del Torbidoni, “essa è una scienza sperimentale che dalla espressione grafica naturale dello scrivente, ne rileva la personalità psicofisica, con le componenti intellettive, tendenze temperamentali, attitudini professionali, costituzione somatica, predisposizioni morbose, congenite e in atto”[1]. Lo studio consiste nel porre in stretta relazione l’espressione grafica individuale con l’identità del soggetto scrivente e nell’attribuire specifici significati ai segni che vengono tracciati sulla carta. L’azione stessa dello scrivere è infatti una diretta conseguenza di meccanismi in gran parte inconsci, ed è frutto di un’interazione tra sistema nervoso centrale e apparato muscolare[2]. Ciò rende la scrittura uno dei comportamenti umani più complessi e significativi. Possiamo quindi affermare che in natura non esistano due grafie identiche, così come, la personalità di ciascun essere umano è unica ed irripetibile. La scrittura è quindi lo specchio di chi scrive. Superate le fasi dell'apprendimento, essa diventa un processo automatico (grafismo), risultato delle risposte motorie ai neuroni. Tali risposte comportamentali non possono essere che uniche, come esclusive sono le esperienze emozionali degli individui. Da queste premesse deriva la possibilità d’interpretazione della scrittura per la descrizione della personalità umana. E’ compito del grafologo rilevare i singoli segni per ricavarne un significato che rappresenti la sintesi delle indicazioni di ciascun segno e di tutti i segni assieme nella loro armonia.
     
     
    Cosa non è la Grafologia
     
    La grafologia, in quanto possiede tutti i presupposti di scientificità già visti prima, non è assolutamente una disciplina esoterica come l’astrologia o la chiromanzia, così come non può essere assimilata ad una branca di un’altra disciplina, la psicologia dalla quale prende a prestito il linguaggio. Essa costituisce infatti una scienza, seppur a livello ancora sperimentale, a sé stante, così come la fisica è distinta dalla matematica.
     
     

    [1] Torbidoni L.,Zanin L., “Grafologia. Testo teorico pratico”, Editrice La scuola, Brescia 1998
    [2] In proposito si veda il testo del Prof. Sergio Deragna, medico e grafologo, “Grafologia e neuroscienze”, CE.DI.S., Roma 2003.

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Breve storia della Grafologia
 
 
L’interesse per lo studio della scrittura ha origini antichissime.
Già in Cina, diversi secoli prima della nascita di Cristo, si ipotizzava un legame diretto tra grafia e temperamento.
In Occidente, nel IV sec. a.C., fu Aristotele ad essere attratto, per primo, dall'espressività del segno grafico, "rivelazione dell’anima e del discorso". Egli affermava che “così come nel parlare gli uomini hanno voci diverse, anche nello scrivere non sono tutti uguali”.
In epoca romana, un’importante testimonianza ci viene dallo storico e biografo Svetonio, autore dei "Vite dei dodici Cesari". Analizzando la grafia dell’Imperatore Ottaviano Augusto, di lui così scrive: “Non separa le parole, né le spezza per riportarle a capo. Questa è la scrittura di un uomo la cui mente è governata dal cuore”.
Durante il Medioevo, lo studio della personalità effettuato attraverso la scrittura, non fu un’arte riservata esclusivamente a maghi e alchimisti. Anche i monaci, al chiuso dei loro chiostri, praticavano tale disciplina.
Tuttavia bisogna attendere il XVII secolo perché venga alla luce il primo testo che tratti esaustivamente l’argomento. Il suo autore fu Camillo Baldi (1547-1634), docente di Logica e Metafisica all’Università di Bologna e autore,  nel 1622, di un Trattato dal titolo “Come da una lettera missiva si conoscano la natura e la qualità dello scrittore”. Il principio fondante della nuova disciplina è per lui  costituito dall’inimitabilità delle scritture individuali e dalla stretta relazione tra modo di scrivere di un individuo e i suoi particolari psicofisici.
Scrive il Baldi che per “divinare bene l’indole d’una persona dalla calligrafia bisogna avere nelle mani la sua scrittura vera (non l’artificiale), specie quella delle lettere intime, e accertarsi che sia stata scritta in condizioni normali”.
Nello stesso periodo non mancano, però, orientamenti diversi sul valore da attribuire al carattere della scrittura.
Il medico napoletano Marco Aurelio Severino in una sua opera incompiuta, “Vaticinator, sive Tractatus de divinatione literalia”, ne sottolinea la valenza divinatoria, confermando, in tal modo, una tradizione vecchia di secoli.
Anche il filosofo e storico tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) esprime il suo parere sullo studio della scrittura e palesa il suo convincimento che via sia uno stretto legame tra scrittura e carattere: “la scrittura esprime quasi sempre in uno o in altro modo l’indole nostra, ammeno che non sia opera di un calligrafo”.
Nel 1774 è il teologo svizzero Johann Caspar Lavater (1741-1801), a dedicare un capitolo della sua opera “Physiognomishe Fragmente zur Beforderung der Menschenkenntnis und Menschenliebe” (Frammenti di fisionomia) a osservazioni di tipo grafonomico, concentrandosi in particolare sullo studio dei rapporti tra fisionomia e carattere.
Nel 1812 venne pubblicata a Parigi un’ opera completamente incentrata sulle relazioni tra scrittura e carattere dal titolo “L’art de juger de l’esprit et du caractère des hommes sur leur écriture”, e attribuita in seguito ad E. Hocquart (1787-1870), in cui lo studio grafonomico viene affrontato, per la prima volta, su basi sperimentali.
E’ proprio grazie a questi ultimi due personaggi che prenderà corpo un movimento che condurrà gradualmente la grafologia fuori dal rango dell’empirismo, avviandola sulla strada del rigore scientifico: verranno così presi in esame i singoli aspetti della scrittura e attribuiti ad essi delle costanti. Assistiamo così alla nascita delle varie correnti grafologiche  nei vari paesi d’Europa. Si può quindi sin da ora parlare di singole “Scuole” di grafologia e tra le più significative, quella francese, la tedesca, la svizzera, l’inglese e quella che più ci riguarda da vicino, l’italiana, col suo esponente più significativo: l’abate Girolamo Moretti.
 
 
 
La Scuola francese
Sin dal 1830, in Francia sorse una Società Grafologica e una relativa scuola, curata da ecclesiastici. Esponenti di tale accademia furono l’abate Flandrin, ma soprattutto, l’abate Michon.
Jean-Hyppolite Michon (1806-1881), cui si deve il conio della parola “Grafologia”, convinto che ogni atto dell’essere umano sia espressione dei suoi sentimenti, stimoli e sensazioni, afferma che è nella scrittura che si imprimono le diverse proprietà dello scrivente. Merito fondamentale del Michon è quello di aver fatto della grafologia una “scienza ragionata”. Nella sua opera maggiore, Méthode pratique de graphologie  del 1878, l’abate illustra il suo metodo, basato sulla teoria dei segni fissi, per cui ad ogni singolo segno grafico corrisponde un particolare e ben definito aspetto del carattere. Michon, pur interpretando la scrittura come qualcosa di statico e non come il riflesso della psiche individuale, può comunque essere considerato il padre della grafologia moderna. A sviluppare le sue tesi, ci penserà il suo discepolo J. Crépieux-Jamin.
Con J. Crépieux-Jamin (1859-1940) la grafologia diviene una scienza razionale, basata sull’osservazione empirica, regolata da leggi precise e suscettibile di verifica sperimentale. Il metodo di classificazione jaminiano è caratterizzato dalla ripartizione in sette generi fondamentali (pressione, velocità, forma, dimensione, direzione, continuità, ordine) e 175 differenti specie con modi diversi. Contrariamente al suo predecessore, Crépieux-Jamin collega le qualità psichiche non a un singolo segno, ma ad un complesso di segni, cercando di risalire dal gesto grafico alle cause psicofisiche che lo determinano.
 
La Scuola tedesca
W. Preyer, nella sua opera Zur Psychologie des Schreibens (La Psicologia della scrittura),  è il primo a dimostrare che le variazioni della scrittura non dipendono dal semplice movimento della mano, ma sono il frutto di un’attività cerebrale. Lo studioso osserva che tenendo la penna con la bocca o con un piede, i caratteri fondamentali della scrittura restano i medesimi che quando teniamo la penna con la mano. Tuttavia , il vero caposcuola della corrente tedesca fu il filosofo Ludwig Klages (1872-1956). Criticando la tesi della schematizzazione seguita da Michon e Crépieux, egli vuol portare l’attenzione dei grafologi verso il complesso grafico e la sua fisionomia unitaria. Da una singola scrittura, vuol risalire al dinamismo personale che la determina. Ciò conduce ad una differenziazione individuale.
Potendosi pervenire alla conoscenza delle potenzialità psichiche del singolo soggetto mediante l’analisi grafologica, secondo Klages, è possibile scoprire attitudini particolari ed indagare sulle peculiarità individuali dei soggetti sia in ambito dell’analisi del carattere e della personalità che in tema di compatibilità matrimoniali e di scelte professionali.
Il lavoro del grafologo poteva, altresì, rivelarsi utile anche in Criminologia per l’accertamento di eventuali potenzialità criminose.
Su posizioni opposte rispetto a Klages fu, invece, il neurologo Rudolf Pophal che risale dal movimento scrittorio alla corteccia cerebrale, in cui cerca la localizzazione del gesto grafico.
 
La Scuola svizzera
Esponente di tale scuola è Max Pulver (1899-1952), psicologo e grafologo del Tribunale di Zurigo.
Pulver è il primo ad affermare che, nell’atto dello scrivere, la mano risponde ad impulsi che partono dalla corteccia cerebrale e li fissa in un campo grafico rappresentato dal foglio, ambiente in cui l’Io si muove, esprimendo il suo carattere personale. Per Pulver, “l’uomo, scrivendo, descrive se stesso”. E’ Pulver, dunque, l’ideatore del campo grafico, in cui la scrittura si muove, manifestando come l’uomo è e come esso vorrebbe apparire innanzi agli altri. Più che occuparsi dei singoli segni, egli concentra i suoi studi sulla distribuzione dello scritto nello spazio.
 
La Scuola inglese
Robert Saudek (1880-1935), nato in Cecoslovacchia, opera in Inghilterra ove avvia i suoi studi di grafologia.
Il suo lavoro di scrittore e giornalista lo porta a condurre ricerche in tale campo, utilizzando strumenti di indagine originali per l’epoca, come le tecniche di ripresa cinematografica per calcolare la qualità e il tono del movimento scrittorio.
Molto significativi sono i suoi esperimenti sulle scritture dei gemelli monozigoti.
 
La Scuola italiana
In Italia, di Grafologia si occupa lo psichiatra Cesare Lombroso, autore dell’opera Grafologia in cui vengono tracciati elementi per individuare, in una scrittura, le caratteristiche psichiche dei criminali e degli alienati.
Afferma Lombroso che “l’uomo, quando scrive, è tutto intero nella sua penna, e quindi nella mano che n’è strumento intermediario; così che, se la parola è la manifestazione istantanea del pensiero, la scrittura ne è una traduzione altrettanto immediata se non più rapida”. (C. Lombroso, Grafologia, pag. 12).
Ma è con Girolamo Moretti (1879-1963), fondatore della nuova Scuola grafologica italiana con sede ad Urbino, che la Grafologia assume un carattere realmente scientifico, ponendosi sul piano delle teorie dei maggiori maestri europei.
Moretti, monaco francescano, pubblica, sotto lo pseudonimo di Umberto Kock, il Manuale di grafologia (giunto, nel 2006, alla XV edizione col titolo di Trattato di grafologia. Intelligenza e sentimento).
Secondo Moretti la grafologia va considerata come una scienza sperimentale che consente  di risalire alla predisposizioni psichiche di una persona attraverso l’analisi di un suo scritto.
La grafia, come espressione privilegiata dei sistemi che interagiscono nella formazione della personalità, è lo specchio di ciascuna individualità e come tale riflette sia la realtà immediata dello scrivente, sia ogni mutamento che avvenga nel suo intimo.
Da questa concezione dinamica di fondo Moretti creò un metodo grafologico attento a captare i dinamismi individuali attraverso i "segni grafologici”: il suo originalissimo metodo era basato sulla rilevazione e classificazione in specie e sottospecie dei segni grafologici determinata dalla loro intensità (in una scala decimale) e sulla successiva combinazione delle tendenze psicologiche da essi rilevate.
Esponente dell’altra Scuola italiana è lo psicologo Marco Marchesan (1899-1991), secondo il quale la scrittura, nata dall’esigenza di focalizzare in modo durevole il pensiero, sarebbe l’unica espressione umana che manifesti l’Io nei suoi aspetti: il conscio, l’inconscio e il subconscio. La grafologia del Marchesan studia tre ordini di fenomeni: la dinamica psichica, le leggi di proiezione e il sistema segnico (V. Mastronardi, Grafologia Giudiziaria pag. 457).
 

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Girolamo Maria Moretti
 
Girolamo Moretti (Recanati 1879 – Ancona 1963), nato da una numerosa famiglia di umili origini, fu un francescano conventuale. Nel 1905 si avvicinò alla grafologia quasi casualmente, attratto dalle teorie della scuola francese, e se ne occupò per più di mezzo secolo, lasciando una traccia profonda. Egli condusse i suoi studi e le sue ricerche da autodidatta, in totale indipendenza ed autonomia, conferendo al suo lavoro un’impostazione idiografica, ossia incentrata sull’unicità dell’individuo: la scrittura rappresenta una “fotografia dell’identità individuale”. Nel 1914, sotto lo pseudonimo di Umberto Koch, pubblicò la sua prima opera: il “Manuale di Grafologia” in cui  già s’intravede  il suo "metodo", frutto di grande intuito psicologico. Lo studioso teorizzò una classificazione dei segni in sostanziali (che determinano le caratteristiche di base di ciascun carattere), modificanti e accidentali (che ne determinano le caratteristiche acquisite). I segni che egli va ad elencare, non sono visti come qualcosa di isolato e di fisso, ma interagiscono tra loro; “nella loro forma e movimento, corrispondono in qualità e quantità alle proprietà, agli istinti e alle tendenze dell’individuo, che viene caratterizzato proprio dal concerto sempre singolare di quei segni. Questa intuizione felice spinse il Moretti a cercare sperimentalmente un metodo che precisasse non solo le caratteristiche dei suoi segni, ma che anche ne misurasse la frequenza e l’intensità in un determinato grafismo”.[1] Il Moretti supera in tal modo la “teoria dei segni fissi” del Michon. Nella terza edizione, uscita col titolo “Psicologia della scrittura”, i segni sono moltiplicati, ne viene approfondita la valenza psicologica e ne viene ulteriormente valutatala loro interdipendenza. Ma è nella quinta edizione, edita nel 1935 col titolo “Virtù e difetti rivelati dalla Grafologia”,  viene evidenziata quella che sarà la caratteristica determinante del suo metodo: la misurazione quantitativa in decimi. Tale misurazione matematica, unita alla tripartizione dei segni in sostanziali, modificanti e accidentali, permetterà alla grafologia di raggiungere finalmente un’impostazione scientifica, accrescendone notevolmente la credibilità agli occhi degli studiosi delle altre discipline. Il Moretti si occupò anche dei vari settori di applicazione della grafologia, pubblicando numerose opere che è d’obbligo citare. Tra queste: Vizio. Psicologia e grafologia dei sette vizi capitali, 1937; Trattato scientifico di perizie grafiche su base grafologica, 1942; Grafologia somatica, 1945; Grafologia pedagogica,1947; Grafologia delle attitudini umane, 1948; I Santi dalla scrittura,1952 (tradotta in francese, tedesco, spagnolo, inglese, olandese); Il corpo umano dalla scrittura, 1961; Scompensi, anomalie della psiche e grafologia, 1962; Grafologia differenziale. La passione predominante, 1962; Facoltà intellettive e attitudini professionali dalla grafologia. Altre opere sono postume: quattro volumi di Analisi grafologiche 1966, 1970, 1972, 1976; I grandi dalla scrittura, 1966; Grafologia e pedagogia nella scuola dell'obbligo, 1970; Autobiografia, 1977.
 
 

[1] Torbidoni L., Zanin L., Grafologia. Testo teorico-pratico, pag.45, ed. La scuola, Brescia 1998.

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